3/5/2006
VISTI PER VOI
Storia di un gesto folle
LA STORIA DI 'ANNA CAPPELLI',
VISTI PER VOI
Storia di un gesto folle
LA STORIA DI 'ANNA CAPPELLI',
UNA TRAGICA DONNA QUALUNQUE
È andato in scena a Cagliari lo spettacolo diretto dal regista Gaetano Marino e interpretato in modo convincente da Monica Serra. La piéce, basata su un monologo di Annibale Ruccello, ha animato gli spazi universitari della città...
3/5/2006
Monica Serra, che recentemente abbiamo incontrato sulla scena cagliaritana in compagnia di Mario Faticoni in Speranza dolce ancora e diretta da Monica Zuncheddu in Puttana devi morire, è stata invitata dal regista Gaetano Marino a interpretare in un monologo di 45 minuti circa la vicenda di una donna, l’impiegata Anna Cappelli, protagonista dell’omonimo testo del 1984 di Annibale Ruccello, drammaturgo, attore, regista e produttore di origini campane, morto nel 1986.
Lo spettacolo è stato ospitato per due giorni dalla Sala mensa di via Premuda e l’ultima serata presso la Sala Maria Carta di via Trentino. Ruccello ha lasciato diversi testi frutto di un’intensa ricerca di tipo socio antropologico incentrata in parte sull’esperienza autobiografica, in parte sulle tradizioni e la cultura popolare: sono storie di gente comune, quasi banale, di cui l’autore ama evidenziare l’emarginazione sociale, l’eccesso esistenziale.
Anna Cappelli è una donna qualsiasi, soffocata come tante dalla propria tragedia personale, che desidera, come tante donne, unicamente una casa propria e un marito; riesce ad avere e perdere in poco tempo tutto, ma non è in grado di sopportare l’abbandono, l’improvvisa rinuncia a ciò che per lei era diventato tutto il suo mondo; l’unico modo per riscattarsi si rivela un gesto folle, disperato, irrazionale, un atto che vuole esorcizzare l’assenza eternando il possesso, un sacrificio passionale e cannibalesco che esula dal più umano senso di vendetta, ma riesce pur a toccarci teneramente attraverso i suoi ricordi.
Lo spettacolo è supportato scenicamente da una solitaria sedia di legno rosa, che accoglie l’attrice per tutto il tempo, con una piccola luce che illumina fiocamente il suo angolo, in cui il personaggio si anima tra nevrotici e teneri ricordi, alla ricerca come di una giustificazione logica alla sua vendetta personale, che infine pare anche ai suoi occhi paurosa e insensata. Quella della sedia come unico elemento di scena è una formula sicuramente già sfruttata e gia vista per la sua efficacia: stimola e focalizza tutta la nostra aspettativa emozionale in un punto vuoto e silenzioso che poi sarà animato da racconti, visioni, ricordi, creando quasi un rapporto intimo fra l’attore e l’oggetto, che esso stesso sembra diventare un punto di forza per l’efficacia dell’esecuzione.
È andato in scena a Cagliari lo spettacolo diretto dal regista Gaetano Marino e interpretato in modo convincente da Monica Serra. La piéce, basata su un monologo di Annibale Ruccello, ha animato gli spazi universitari della città...
3/5/2006
Monica Serra, che recentemente abbiamo incontrato sulla scena cagliaritana in compagnia di Mario Faticoni in Speranza dolce ancora e diretta da Monica Zuncheddu in Puttana devi morire, è stata invitata dal regista Gaetano Marino a interpretare in un monologo di 45 minuti circa la vicenda di una donna, l’impiegata Anna Cappelli, protagonista dell’omonimo testo del 1984 di Annibale Ruccello, drammaturgo, attore, regista e produttore di origini campane, morto nel 1986.
Lo spettacolo è stato ospitato per due giorni dalla Sala mensa di via Premuda e l’ultima serata presso la Sala Maria Carta di via Trentino. Ruccello ha lasciato diversi testi frutto di un’intensa ricerca di tipo socio antropologico incentrata in parte sull’esperienza autobiografica, in parte sulle tradizioni e la cultura popolare: sono storie di gente comune, quasi banale, di cui l’autore ama evidenziare l’emarginazione sociale, l’eccesso esistenziale.
Anna Cappelli è una donna qualsiasi, soffocata come tante dalla propria tragedia personale, che desidera, come tante donne, unicamente una casa propria e un marito; riesce ad avere e perdere in poco tempo tutto, ma non è in grado di sopportare l’abbandono, l’improvvisa rinuncia a ciò che per lei era diventato tutto il suo mondo; l’unico modo per riscattarsi si rivela un gesto folle, disperato, irrazionale, un atto che vuole esorcizzare l’assenza eternando il possesso, un sacrificio passionale e cannibalesco che esula dal più umano senso di vendetta, ma riesce pur a toccarci teneramente attraverso i suoi ricordi.
Lo spettacolo è supportato scenicamente da una solitaria sedia di legno rosa, che accoglie l’attrice per tutto il tempo, con una piccola luce che illumina fiocamente il suo angolo, in cui il personaggio si anima tra nevrotici e teneri ricordi, alla ricerca come di una giustificazione logica alla sua vendetta personale, che infine pare anche ai suoi occhi paurosa e insensata. Quella della sedia come unico elemento di scena è una formula sicuramente già sfruttata e gia vista per la sua efficacia: stimola e focalizza tutta la nostra aspettativa emozionale in un punto vuoto e silenzioso che poi sarà animato da racconti, visioni, ricordi, creando quasi un rapporto intimo fra l’attore e l’oggetto, che esso stesso sembra diventare un punto di forza per l’efficacia dell’esecuzione.
Dall’inizio alla fine si rimane sospesi, agguantati dai ricordi, attraverso cui ci incuriosiamo e arriviamo a scoprire la personalità emarginata della protagonista e a cucire i fatti in maniera consequenziale e logica. Si rimane come attratti dall’ansia dell’imminente catastrofe, dalla nera e grottesca ironia che scaccia il patetico e ci avvicina invece al personaggio, rendendocelo caro, fino al suo eccesso. Monica Serra si è presentata nei panni dell’impiegata Anna senza incertezze: presenza consapevole di volto e corpo, verità della parola rivelati con forza e sincera intensitàcostanti lungo tutto lo spettacolo.
Carla Pau
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