Teatro.
Una 'Cavalleria rusticana' passionale e tragica
L'opera di Verga vista da Rino Sudano. Protagonisti Monica Zuncheddu, Elio Turno Arthemalle e Fausto Siddi
La croce si staglia nel buio, enorme al centro della scena ancor prima che sia luce. Come se vivesse di vita propria, anzi, come se da lei tutto avesse inizio e a lei tutto tornasse. Simbolo della passione, come il rosso dei drappi che l’avvolgono, domina, immutabile ed eterna, la “Cavalleria rusticana” di Rino Sudano. Nelle sue mani di maestro, di teatro e di pensiero, le nove scene popolari di Giovanni Verga, si fanno quadro “bello e buono”, esteticamente perfetto, eticamente feroce. L’incastro “lei, lui, l’altra e l’altro”, appare in tutta la sua tragica inevitabilità. Il che non significa che i protagonisti non siano consapevoli, al contrario. È che obbediscono alla passione - e perciò sono passivi, anche innocenti - incrocio osceno perché in tutta coscienza, pur sapendo che il desiderio li trascende, Santuzza, Turiddu, Alfio e Lola, non fanno nulla per sfuggire al destino. Come se l’unica libertà, seppure da carnefici, fosse aderire a ciò che è. Un’illusione? Sì, ma il naufragar nella gelosia nel giorno della Resurrezione è un rito che segna una rinuncia, e non c’è niente di più moderno dell’arcaico che rifiuti l’evoluzione, l’idea ancor più illusoria delle “magnifiche sorti e progressive”. Come i greci rifiutarono l’algebra, preferendo la geometria, Rino Sudano rigetta il peso della colpa ma non quello della responsabilità. Ai piedi della Croce, la tragedia si consuma come candela. Santuzza - una Monica Zuncheddu nella stagione più bella, all’alba dell’anima - è l’unica assassina - con la parola che in teatro è azione - prima di Alfio, e poi di Turiddu. Ai quali non resta che amore odio, un codice che esclude l’incertezza. Nemici per sempre. Di fronte a un coro reiterante - che dice sempre lo stesso ma in toni diversi, dallo spontaneo alla litania - collettivo testimone e mandante insieme, il compare Alfio di Elio Turno Arthemalle dà prova oltre la parola, di un urlo di dolore attoriale, un’afasia gemente, che è lo stato di chi sa che dalla realtà delle parole non si torna indietro. Quel che è detto è fatto, senza appello. In questa tensione continua, vive “Cavalleria rusticana” e finalmente il presente finisce di essere il frutto di un calcolo, l’attimo vive ed è fatale. L’evento ritorna ad essere commensurabile alla posta in gioco, tutto. E se a vederla, questa tragedia, mostra in prospettiva caldoalgida, l’interno e l’esterno (il tavolo e le sedie impagliate alla Van Gogh e un profilo di casa di paese in blu chiaro e luminoso), a lasciarsi leggere, tocca il profondo. A Fausto Siddi la carnalità tutta nervi di un Turiddu in bilico, straordinario nel trattenere obbedendo alla regola dell’illusione. In scena anche Lorena Tuveri, Monica Serra, Vanessa Podda, Carla Orrù, Andrea Zucca, Sonja Murgia.
Monica Perozzi
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